La Storia
Il fondo archivistico dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo di Viterbo (1832-1969)
Introduzione storico – istituzionale a cura di Cinzia Pasqualetti
PREMESSA
All’indomani dell’unificazione politica dell’Italia si avvertì l’esigenza di porre ordine nel variegato mondo delle Opere Pie, che, numerose e sovente sin da epoche remote esistevano in tutto il territorio del neo costituito Regno. La Legge del 3 agosto 1862, n. 753, promulgata da Vittorio Emanuele II e ripartita in sette titoli, per complessivi 38 articoli, dopo avere puntualizzato e fatto chiarezza sul concetto stesso di Opere Pie e dopo avere, altresì, affrontato la problematica generale della gestione, del regime economico, della contabilità, dell’organo che doveva esercitare su di esse la tutela, nonché, ancora, dell’ingerenza governativa nel loro normale funzionamento, all’articolo ventisei sanciva che in ciascun Comune dello Stato si doveva costituire una Congregazione di Carità.
Subito dopo il testo di legge passava a chiarire la composizione degli organi di gestione delle Congregazioni (a capo delle quali vi era un presidente), la durata in carica e le modalità di nomina dei loro componenti nonché la sfera di azione e l’ambito di operatività ed autonomia relative alla loro attività. La legge presentò in campo applicativo lacune e carenze, a cui si tentò di porre rimedio con la Legge del 17 luglio 1890, n. 6972, emanata da Umberto I ed ispirata alla politica riformista attuata da Francesco Crispi, il quale volle una semplificazione delle Istituzioni pubbliche beneficenza e maggiori controlli statali.
La legge suddetta, composta da ben centoquattro articoli, dedicava l’intero titolo primo alla individuazione delle istituzioni benefiche; al titolo secondo, esaminava la struttura dei consigli di amministrazione delle stesse, gli obblighi per quanti ne facevano parte ed i casi di incompatibilità alla nomina; al titolo terzo i doveri previsti in materia di contabilità e per garantire la regolarità dei provvedimenti decisionali e deliberativi; al titolo quarto la tutela da esercitarsi in taluni settori ad opera della Giunta provinciale amministrativa. I successivi titoli, (dal quinto al settimo), affrontavano nell’ordine: – gli aspetti connessi con la vigilanza e l’ingerenza governativa; – le riforme nell’amministrazione ed il mutare del fine istituzionale; – il domicilio di soccorso.
Legge “crispina” rimase in vigore sino al 1937, quando il 3 giugno, venne varata la legge n. 847, la quale soppresse le Congregazioni di Carità ed istituì in ogni comune del Regno un Ente Comunale di Assistenza (ECA).
Questa trasformazione (non fu una vera e propria soppressione) si rese necessaria per rendere le istituzioni benefiche più aderenti alla politica fascista che, aveva creato nei diversi capoluoghi di provincia altrettanti “enti opere assistenziali” con i quali i singoli ECA avrebbero dovuto misurarsi.
Elementi ulteriori che avevano consigliato o imposto la riforma delle preesistenti Congregazioni si possono ravvisare nella necessità, sentita da più componenti sociali, di meglio focalizzare il concetto stesso di assistenza, per il passato quasi sempre lasciata alla episodica e libera iniziativa di privati e per la quale si richiedeva, invece, un continuo e determinate intervento pubblico, attraverso fondi stanziati dall’autorità governativa; nell’opportunità che l’attività benefica si avvalesse di proventi diversificati ed infine nell’utilità che alla gestione degli Enti di recente fondazione non fossero estranee figure di spicco, a livello locale, del partito nazionale fascista.
L’archivio dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, unitamente a quello del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi, sono oggi conservati presso la sede dell’attuale Centro Geriatrico “Giovanni XXIII”, al numero 13 della Strada Teverina. Gli archivi suddetti sono stati ispezionati, presso la sede citata, da incaricate della Soprintendenza Archivistica del Lazio, in occasione del censimento degli archivi delle “Ipab e degli Istituti di assistenza privati e privatizzati”. Durante il censimento è stato rilevato che l’archivio storico dell’attuale Centro Geriatrico è composto da due nuclei afferenti a due istituti confluiti nel “Giovanni XXIII” il primo ottobre 1969: il Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi e l’Ospizio dei Vecchi di San Carlo.
Nella nota inviata dalla citata Soprintendenza era stato quantificato il materiale come segue: Ricovero di Mendicità 49 unità (1920-1967); Ospizio dei Vecchi di San Carlo 71 unità (XVII-1968) ed allegati gli elenchi del materiale censito.
Esso era conservato, insieme alla documentazione di deposito dell’attuale erede dei due Enti, in un vano seminterrato dell’edificio. L’ambiente, grande circa 25 mq, è stato ritenuto idoneo, asciutto ed areato. Durante il sopralluogo era stato notato che le scaffalature metalliche, tuttavia, non erano sufficienti ad accogliere la documentazione che giaceva accatastata a terra, dentro scatoloni o in collocazioni di fortuna; si era rivelato, inoltre la presenza di una notevole quantità di materiale da scarto e di vecchie gazzette ufficiali.
Sia i documenti dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, che quelli del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi sono pervenuti al Centro tramite L’Ente Comunale di Assistenza, amministratore dei due enti dal 1937 al 1938. In fase di censimento le incaricate della Soprintendenza hanno provveduto ad esaminare il materiale che era in gran parte ancora impacchettato e separato fisicamente la documentazione prodotta dai due Istituti, dichiarando nel complesso discreto lo stato di conservazione delle carte di entrambi. La Soprintendenza, a seguito del sopralluogo, prescriveva di procedere al riordino ed inventariazione di tutta la documentazione anteriore all’ultimo quarantennio, tenendo separati i due fondi confluiti nell’archivio del Centro Geriatrico “Giovanni XXIII” ed inviare copia dell’inventario; di provvedere ad una idonea collocazione della documentazione successiva al quarantennio, disponendola su scaffali o armadi metallici; di procedere alla pulizia del locale eliminando il materiale estraneo all’archivio; di recuperare spazio attraverso lo scarto delle vecchie gazzette ufficiali.
Dopo questo censimento, l’attuale Presidente del Centro Geriatrico, si è adoperato per cercare personale competente ad effettuare il riordino e l’inventariazione del suddetto materiale e l’incarico è stato affidato alla scrivente dottoressa Cinzia Pasqualetti.
Dopo avere ricevuto l’incarico, è stato effettuato un sopralluogo nei locali dell’archivio per verificare lo stato delle carte dove è stata ritrovata una situazione come già delineata nella relazione del censimento effettuato su incarico della Soprintendenza Archivistica del Lazio. Il deposito anche se piccolo è stato ritenuto più che sufficiente ad ospitare la documentazione sia storica, che di deposito. Secondo le prescrizioni della Soprintendenza, si è ritenuto necessario, prima di procedere al riordino ed all’inventariazione del materiale, effettuare la pulizia del locale eliminando il materiale estraneo all’archivio (materiale dimesso, specchi, cornici, presidi medici). Le gazzette ufficiali e la modulistica in bianco, sono state portate in un locale, ubicato anch’esso al piano seminterrato, utilizzato quale deposito di materiale. Con queste operazioni si è recuperato molto spazio da destinare all’archivio.
Il materiale documentario lasciato sul pavimento è stato successivamente sistemato in un armadio metallico, già presente nel deposito, e in una nuova scaffalatura anch’essa metallica. Con l’acquisto di nuove buste e fascicoli si è provveduto a ricondizionare il materiale sciolto. Le buste originarie, di colore marrone, ben riconoscibili, non sono state sostituite, perché in buono stato di conservazione. I due archivi, tenuti materialmente e logicamente separati, sono stati inventariati con il software “Sesamo”, realizzato dalla Regione Lombardia per l’inventariazione degli archivi storici comunali.
Nell’inventario dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo sono presenti alcune serie contenenti documentazione sia del suddetto Istituto sia del Ricovero di Mendicità ossia le serie dei Verbali delle delibere (1939), degli Atti deliberativi (1965 1969) e dei Protocolli della corrispondenza (1943-1969), perché cronologicamente successivi alla costituzione dell’amministrazione unica dei due Enti. Nella nota della Soprintendenza dell’otto aprile 2002, si segnalava che tre registri dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo si trovavano conservati presso l’Archivio di Stato di Viterbo, al quale, secondo il dettato della nota, sarebbero pervenuti unitamente al fondo dell’E.C.A. Si tratta di un cabreo del XVII sec., di un registro delle Congregazioni degli anni 1870-1872 e di un registro di polizze (1824-1860).
Da accertamenti fatti presso l’Archivio di Stato di Viterbo, sembrerebbe che l’archivio dell’E.C.A. di Viterbo non sia mai stato versato e quindi non si comprende l’attuale collocazione di questi tre registri. La documentazione è stata inventariata fino al 1969, anno in cui effettivamente avviene la fusione dei due Istituti nell’attuale “Giovanni XXIII”.
INTRODUZIONE
1. L’Ospizio dei Vecchi di San Carlo di Viterbo: notizie storico – istituzionali dalle origini sino al 1969.
Dei due Istituti che sono confluiti nell’attuale Centro Geriatrico “Giovanni XXIII” è quello di più antica fondazione. E’ nato nel 1639 a cura della Confraternita di San Carlo con il fine primario di “ricovero dei poveri vecchi viterbesi d’ambo i sessi divenuti inabili al lavoro”. Un registro intitolato “Origine Della Congregazione degli Obblati di Maria Vergine Donazioni, ed Acquisti” ne descrive l’origine e dà una descrizione del patrimonio, costituito attraverso le donazioni ricevute e gli acquisti fatti durante gli anni (fino al 1835).
Esistevano anticamente nella Contrada della città di Viterbo chiamata “Piano Ascarano” due chiese parrocchiali una “sotto il Titolo di S. Andrea Apostolo” e l’altra “sotto il titolo di S. Niccola di Bari”.7 A quella di San Nicola era unita la Confraternita di San Carlo, la quale aveva il suo oratorio dietro la stessa Chiesa. “Minacciando ruina la Parrocchia di S. Niccola né potendosi riparare per la tenuità delle rendite, nell’Anno 1560 fu soppressa, e riunita insieme con le rendite alla Parrocchiale di S. Andrea. Restò però la suddetta Confraternita di S. Carlo nella propria Residenza”. Il curato delle due parrocchie riunite Don Arcangelo Nicolai, nel 1570 consegnò la Chiesa di S. Nicola “alli Santesi di dette due Parrocchie acciò fosse custodita, ed officiata, ma poi il successore in Esse Parrocchie Don Salvatore Olivieri concesse alli medesimi Santesi non solo la Chiesa ma anco il Chiostro, Casa ed Orto affinché restaurassero detta Chiesa, con pagare per tributo alla Chiesa di S. Andrea una libra di Cera”. I “Santesi” riconoscendo che la Chiesa era poco adatta ad “officiarsi” a causa della presenza di molta umidità nel 1593 la “dimidiarono” ed alzarono il livello del pavimento “come si vede al presente”.
Non molto tempo dopo dai “Santesi” fu restituita alla parrocchia la Chiesa e tutti i suoi annessi ed il curato Salvatore Olivieri concesse tanto la Chiesa, quanto “che’ Casa, Chiostro, ed Orto alla Confraternita di S. Carlo per la corrisposta di scudi 9”. “Principiò ad esercitarsi da detta Confraternita l’ospitalità degli Infermi convalescenti, e vi fece spese considerabili, in vista delle quali dal medesimo Curato Olivieri le fu concessa in Enfiteusi perpetua per l’annuo canone di scudi 7 ed una libra di cera per tributo della Chiesa per istromento rogato Pietro Corettini li 22 Maggio 1619”.
Viveva in quel periodo nel monastero di San Bernardino “Santa Giacinta Mariscotti”, la quale “tutta si adoperava in sollievo de’ poveri raccogliendo dalle Pie Persone delle elemosine in sostentamento di Essi”. Non soddisfatta di questo “la spinse la sua carità a provvederli stabilmente, e per mezzo del Servo di Dio Francesco Pacini istituì una Unione di Pie persone, che con le questue delle elemosine si caricassero del servizio, e sostentamento de’ poveri Vecchi invalidi della Città, e questa unione volle che si chiamasse la Congregazione degli Obblati di Maria Vergine”.
Per riuscire “più speditamente dar principio a questo suo istituto, richiese, ed ottenne dalla Congregazione de Convalescenti di S. Carlo, che questa sua Congregazione venisse ad essa aggregata ed unita, la quale non solo l’aggregò, ma anco le cedè la Chiesa, residenza, Casa ed Orto annesso, con condizione di pagare alla Parrocchiale di S. Andrea il canone di scudi 7 ed una libra di cera come ancora un canone di scudi 1 sopra il suddetto Orto alli Reverendi Beneficiati di S.
Lorenzo, e di più un canone di scudi 1:50 alla medesima Congregazione dè convalescienti per le spese considerevoli fatte nella Residenza, ed altri patti per istromento rogato per gli atti Vescovili li 5 luglio 1639”.
Questo istituto venne riconosciuto dal vescovo di Viterbo Brancacci ed alcuni mesi dopo per decreto dello stesso fu distaccata la Congregazione dei Convalescenti e riunita insieme con le rendite al “Venerabile Ospedale degli Infermi, e restò la Congregazione degli Obblati sola, e libera per esercitare il suo Pio Istituto”.
L’amministrazione della Congregazione viene di seguito spiegata in modo molto dettagliato. “Si governava questa Congregazione a forma di una Comunità Religiosa, poiché aveva il Presidente, il Depositario, o sia Amministratore, ed i Questuanti”. “Finché durò il fervore del Pio Istituto negli Oblati, le donazioni ed elemosine erano continue, ma dopo la morte del zelante Obblato Simone Peretti che lasciò il suo Patrimonio per mantenimento de’ poveri Vecchi principiarono gl’interessi a tramandarsi, ed a non avere quella cura economica, che si doveva, motivo per cui nell’anno 1723 fu posto dal vescovo un deputato Ecclesiastico nella persona del Molto Reverendo Canonico Carlo Grandini a cui nell’Anno 1734 fu sostituito il Molto Reverendo Canonico Girolamo Ciacci per sopra intendere agli interessi, e contratti”. Nonostante questo cambiamento, ritenuto insufficiente per il buon andamento economico del Luogo Pio nel 1760 dal Vescovo di Viterbo Oddi “fu stabilito un Amministratore in persona del Reverendo Don Antonio Ippoliti ed in fine per togliere affatto agli Obblati ogni amministrazione, e dominio, dal medesimo Eccellentissimo Oddi fu formata una deputazione di quattro ragguardevoli soggetti, due Ecclesiastici, e due Secolari dalli quali dipendesse il buon regolamento, e l’economico del Pio Istituto”.
Si era provveduto così all’amministrazione economica all’interno della comunità “per mezzo di regole ed ordini della deputazione, ma restavano i Vecchi senza chi li sorvegliasse, e tenesse a dovere, per cui ne nascevano dispersioni fra Essi, e disordini, e le grasce conveniva consegnarle nelle mani delli stessi Vecchi, i quali ne facevano abuso onde è che a riparare tali disordini pensarono di formare l’abitazione di un Sacerdote, che presiedesse al Morale, ed economico, e che stabilmente dimorasse nell’appartamento fabricato con il nome di Rettore” e nel 1792 fu eletto a tale carica Don Giovanni Corsi. Durante il periodo di governo francese “soffrì molto svantaggio il Luogo Pio”, ma con il ristabilirsi del governo Pontificio “risorse, e da N. 12 Individui che manteneva, al presente ne mantiene N. 20, cioè N. 12 Uomini, e N. 8 Donne, e si spera colla Divina provvidenza di accrescere il numero delle Donne, motivo per cui in quest’anno 1835 e stato accresciuto il dormitorio delle Donne di quattro stanze”.
Con R. D. di Umberto I del 20 giugno 1878, l’Ospizio venne eretto in Ente Morale. Con il medesimo decreto veniva approvato lo “Statuto organico e regolamento per il servizio amministrativo ed economico dell’Ospizio San Carlo” su proposta del Ministro Segretario di Stato per gli Affari dell’Interno, Zanardelli. Lo Statuto, approvato dalla “Deputazione Amministratrice” il 24 novembre 1877, si componeva di 3 capitoli (i capitoli dal IV al VI sono stati depennati) e di 20 articoli (il XVI è stato aggiunto a penna, modificando la numerazione successiva).
Il I capitolo parlava dell’origine, della sede, degli scopi e dei redditi dell’Istituto: nel 1639 veniva fondato a Viterbo dalla Confraternita di San Carlo l’Ospizio dei Convalescenti chiamati Oblati, che poi prese il nome di Ospizio dei Vecchi invalidi sotto il titolo di San Carlo (art. 1).
Esso era destinato al ricovero dei poveri vecchi viterbesi di entrambi i sessi, diventati inabili al lavoro (art. 2).
Il patrimonio dell’Ospizio si componeva di stabili, censi, canoni, capitali attivi e di titoli del debito pubblico (art. 3).
L’amministrazione dell’Ospizio si reggeva in base alle leggi generali dello Stato, e del presente Statuto, ed era sottoposta alla vigilanza delle Autorità tutorie (art. 4).
Il capitolo II definiva i compiti della Deputazione Amministratrice: un collegio chiamato Deputazione dell’Ospizio dei Vecchi invalidi sotto il titolo di San Carlo aveva il governo, la direzione e l’amministrazione dell’Ospizio (art. 5).
La Deputazione era composta da un Presidente e da quattro Deputati (art. 6).
All’ art. 7 veniva stabilita la durata in carica dei componenti la Deputazione: il Presidente durava in carica un biennio, i Deputati quattro anni (ogni anno ne usciva uno) .22 Tutti quelli che cessavano potevano essere rieletti (chi surrogava un Deputato scaduto, rimaneva in esercizio solo quanto avrebbe dovuto il suo predecessore) (art. 8).
La nomina dei Deputati spettava al Consiglio comunale, la Deputazione nel suo seno eleggeva il Presidente (art. 9).
In caso di assenza o impedimento del Presidente il Deputato più anziano ne faceva le veci (art. 10).
Nel capitolo III stabilivano le competenze del Presidente, e della Deputazione amministratrice.
All’art. 11 si stabilivano i compiti della “Deputazione Amministratrice” la quale provvedeva a tutti gli atti dell’amministrazione ed ai singoli bisogni dell’Ospizio, quindi secondo quanto stabilito dalle leggi sulle Opere Pie: compilava i bilanci attivi e passivi; nominava e licenziava gli addetti dell’Ospizio; per instaurare, accrescere o diminuire loro gli assegni, come anche per aumentare il numero degli impiegati, doveva ottenere l’approvazione dell’Autorità tutoria. 24 Affittava e proponeva la vendita dei beni, quando ne riconosceva l’utilità; provvedeva alla fornitura dei generi occorrenti all’Ospizio attraverso l’appalto o vi provvedeva in economia, osservando tutte le disposizioni di legge. Provvedeva al regolare andamento dell’amministrazione e al miglioramento del Luogo Pio. Ogni anno rendeva conto della propria amministrazione e sottoponeva il conto consuntivo all’approvazione dell’Autorità tutoria.
Le attribuzioni del Presidente venivano fissate all’art. 12 dello Statuto. Spettava al Presidente spedire gli avvisi per la convocazione della Deputazione, ne presiedeva e dirigeva le adunanze; curava l’esecuzione delle deliberazioni prese; dirigeva la corrispondenza d’ufficio e provvedeva all’osservanza delle leggi e regolamenti e all’esecuzione degli ordini dei superiori; ordinava i pagamenti o le riscossioni e firmava i mandati relativi unitamente ad un Deputato25; procedeva alle verifiche di cassa in presenza del Tesoriere, stilandone il risultato dello stato per atto verbale da rassegnarsi alla Deputazione; rappresentava il Luogo Pio in giudizio e stipulava in nome di questo i contratti deliberati dalla Deputazione; sospendeva in caso di urgenza gli impiegati e salariati riferendone alla Deputazione; prendeva in caso di urgenza le misure conservative con l’impegno di informarne subito la Deputazione. Perché fossero valide le deliberazioni della Deputazione, occorreva l’intervento almeno di tre Deputati in I convocazione o del numero reperibile in II convocazione. Tra la I e la II convocazione il minimo intervallo doveva essere di un’ora (art 14).
La Deputazione si radunava ordinariamente ogni mese e straordinariamente ogni qualvolta il Presidente credeva utile convocarla. Doveva anche riunirsi dietro richiesta di due dei Deputati (art. 15).
Le risoluzioni erano prese a maggioranza dei votanti (art. 19).
I verbali delle deliberazioni dovevano contenere il giorno e l’ora dell’adunanza; il nome ed il cognome degli intervenuti; l’oggetto posto a discussione ed il risultato della votazione. I verbali venivano sottoscritti da tutti i presenti e dal Segretario contabile (art. 20).
Presidente dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo nel 1877 (anno di approvazione del regolamento) era Carlo Borgassi.
Il 19 ottobre 1876 veniva approvato il Regolamento per il servizio amministrativo ed economico dell’Ospizio dei Vecchi Invalidi sotto il titolo di San Carlo in base ed in applicazione del suddetto Statuto, composto da 6 titoli. Il titolo I conteneva le disposizioni preliminari: secondo quanto stabilito nello Statuto dipendono dalla Deputazione gli impiegati dell’amministrazione e tutti gli addetti al Luogo Pio.
Il titolo II riguardava il personale dell’amministrazione: per il servizio amministrativo la Deputazione aveva alle sue dipendenze un Segretario Contabile ed un Esattore Cassiere. Il Segretario Contabile esercitava le funzioni di segretario e di computista, seguiva e trattava gli affari nell’interesse dell’Ospizio, assisteva alle deliberazioni della Deputazione e agli atti d’asta, ne redigeva i relativi verbali. “Eseguiva” la corrispondenza e la compilazione dei bilanci e consuntivi.
Rilasciava, inoltre, i mandati di pagamento ed annotava sui registri le partite incassate e le spese. Si occupava di tutte le operazioni di contabilità prescritte dalla legge.
L’Esattore Cassiere riscuoteva tutte le partite che provenivano dalla Deputazione passate in esigenza ed saldava i pagamenti attraverso mandati regolari stilati dal contabile, firmati dal Presidente, dal Deputato e controfirmati dal contabile. Doveva pagare solo mandati regolari e rifiutarli in caso contrario o se non giustificati. A maggio era obbligato a presentare il rendiconto con le partite d’esito in modo che la Deputazione31 potesse compilare il consuntivo e consegnarlo entro giugno all’Autorità tutoria per l’approvazione.
L’Esattore doveva prestarsi ad ogni visita di cassa che la Deputazione del Luogo Pio avesse creduto necessaria.
Il Titolo III riguardava il servizio interno dell’Ospizio.
L’andamento interno era affidato ad un Rettore, coadiuvato per le donne, da una Superiora. Il Rettore aveva il governo domestico del Luogo Pio, la direzione e l’interna amministrazione. Aveva in custodia i mobili, la biancheria ed i generi di consumo del Luogo Pio di cui rispondeva direttamente alla Deputazione. Spediva i buoni di ordinazione ai singoli fornitori ed eseguiva i piccoli pagamenti unendo alla sua carica anche quella di economo. Teneva un registro in cui annotava da una parte tutti i generi introdotti nel magazzino32 e dall’altra le quantità che ogni giorno si prelevavano per il consumo dell’Ospizio. Sovrintendeva ai buoni rapporti tra i vecchi ricoverati (che non si lamentino o litighino fra loro). Doveva fare presente alla Deputazione qualsiasi inconveniente si verificasse all’interno dell’Ospizio e da essa ricevere istruzioni. In caso di urgenza poteva prendere autonomamente dei provvedimenti per poi darne notizia alla Deputazione in tempi brevi.
I compiti della Superiora erano coadiuvare il Rettore e vigilare sulla cucina. Si occupava inoltre della pulizia delle camere e dell’intero Ospizio, distribuiva i viveri consegnati dal Rettore e doveva riferire al Rettore degli inconvenienti che si presentavano affinché quest’ultimo potesse farlo presente alla Deputazione per i necessari provvedimenti.
Il titolo IV disciplinava il ricevimento dei vecchi.
Ogni vecchio o vecchia che si trovavano nelle condizioni espresse dall’art. 1 dello Statuto e che desiderava essere accolto nell’Ospizio doveva inoltrare domanda alla Deputazione corredandola con il certificato di nascita, di povertà e di moralità. La Deputazione esaminati i documenti e tenendo presente l’art. 19 poteva decidere se ammettere o respingere la richiesta. Ogni vecchio o vecchia ricoverato doveva portare in Istituto: un letto completo, un quattro di ogni cosa di biancheria da letto e da indossare, una cassa per mettere la biancheria, due vestiari completi.
Al loro ingresso nell’Ospizio erano iscritti in ordine in un apposito registro con l’indicazione del cognome, nome, paternità, età, professione, data dell’ingresso all’Ospizio e data di deliberazione della Deputazione con cui veniva accolto nell’Ospizio.
Nel registro in una colonna doveva essere indicata la data del decesso del vecchio o vecchia, avvenuto nell’Ospizio oppure la data in cui avveniva l’abbandono dello stesso.
Il titolo V stabiliva i doveri dei vecchi.
I vecchi che dimorano nell’Ospizio erano mantenuti a spese dell’Ospizio, quando tra lo stesso ed i vecchi non ci fosse qualche “contratto” o condizione speciale.
Cessava il mantenimento nel momento in cui un vecchio dichiarava di voler abbandonare l’Ospizio con il permesso della Deputazione. Il permesso di lasciare l’Istituto non veniva mai negato qualora la richiesta fosse stata fatta dal vecchio o dai parenti purché dichiarassero per iscritto di ritirarlo nella propria casa, o qualora un vecchio poteva giustificare di essere ancora abile al lavoro, e procurarsi il vitto onestamente.
I vecchi che volevano occuparsi di qualche piccolo lavoro, questo veniva fornito dal Luogo Pio, che aveva diritto alla metà del ricavato. Era dovere dei vecchi ricoverati mantenere buona armonia, non causare litigi ed aiutarsi. Qualunque infrazione al buon ordine era severamente punita a discrezione della Deputazione, la quale poteva decidere anche l’espulsione dal Luogo Pio di colui che, anche più volte ammonito, provocava disordini. I ricoverati potevano assentarsi dall’Istituto dalle ore 21 alle ore 23. Tale permesso di assenza era concesso dal Rettore. Il Rettore poteva incaricare qualche vecchio per i servizi occorrenti all’Ospizio (pulizia, vigilanza del buon ordine). Quanto soprascritto valeva anche per le donne.
Una copia manoscritta dello “Statuto organico dell’Ospizio dei Vecchi sotto il titolo di S. Carlo in Viterbo”37 del 1891 (copia conforme all’originale in carta libera per uso amministrativo), identica per i primi tre capitoli alla copia a stampa del 1878, salvo avere un articolo in meno rispetto alla citata copia (l’articolo 16 nella copia a stampa è stato aggiunto a penna e modificata la numerazione dei successivi articoli), riporta ulteriori 3 capitoli che non sono presenti nel Regolamento del 1878.
Il capitolo IV intitolato “Personale per l’andamento Amministrativo” prevedeva che per l’andamento amministrativo la Deputazione aveva un Segretario contabile, un Esattore cassiere (quest’ultimo doveva presentare a garanzia del suo ufficio una congrua cauzione) e per l’andamento interno un Rettore ed una Superiora (art. 20). 38 Il capitolo V “Dei poveri vecchi ricoverati” stabiliva che l’ammissione dei poveri vecchi d’ambo i sessi spettava esclusivamente alla Deputazione del Pio Luogo, salvo i posti di nomina privata. La nomina dei privati aventi diritto, non aveva effetto se il nominato non possedeva i requisiti richiesti dallo Statuto e dai Regolamenti del Luogo Pio (art. 21). 39 I vecchi ricoverati avevano vitto e vestiario ed in caso di malattia venivano loro somministrati i medicinali necessari; ma dovevano prestarsi a tutti gli ordini e le incombenze che l’amministrazione impartiva loro (art. 22).40 La Deputazione aveva la facoltà di licenziare quell’individuo immeritevole di rimanere nell’Ospizio, per insubordinazione, ubriachezza, litigi e cattivi costumi. La diminuzione dei posti non poteva avere luogo se non a causa del decesso dei già ricoverati (art. 23).41 Il capitolo VI riguardava “Dell’Opera Pia Bordoni”. A seguito del testamento olografo di Francesco Bordoni, pubblicato per gli atti del notaio romano Filippo Delfini il 23 aprile 1890 ed in dipendenza del Decreto Reale 11 dicembre 1890 veniva istituita nell’Ospizio una sezione speciale detta “Opera Pia Bordoni”.
L’amministrazione della medesima era regolata dallo stesso Statuto e Regolamento interno dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo (art. 24)42. Il patrimonio dell’”Opera Pia Bordoni” consisteva in stabili e capitali attivi; doveva avere uno speciale inventario separato da quello dell’Ospizio; così anche al computo delle entrate e delle spese doveva essere dedicato uno speciale capitolo sia nei preventivi che nei consuntivi annui (art. 25). Nel preventivo di ogni anno doveva essere determinato il numero dei ricoverati da mantenere, avendo presente le variazioni del patrimonio e delle oscillazioni dei prezzi del vitto e del vestiario. I vecchi da ricoverare dovevano essere nati e domiciliati a Viterbo, impotenti al lavoro “ovvero decaduti di condizione che non abbiano o non possano procacciarsi mezzi di sussistenza” (art. 27). La nomina dei ricoverati dell’Opera Pia Bordoni spettava esclusivamente al Vescovo “pro-tempore” di Viterbo, ma la Deputazione Amministrativa dell’Ospizio doveva verificare l’esistenza dei requisiti richiesti nel precedente articolo, prima di accoglierli nel Luogo Pio (art. 28). In caso di decesso di una persona designata al “posto Bordoni”, la Presidenza dell’Ospizio doveva immediatamente comunicarlo al Vescovo affinché provvedesse a nuova nomina (art. 29). Il capitolo VII riguardava le “Disposizioni transitorie”: la nomina dei ricoverati dell’Opera Pia Bordoni era alla data del 1891 sospesa a termini del testamento, essendo ancora in vita l’erede usufruttuario. Deceduto questo, non si faceva luogo alla nomina finché con le rendite ereditate non fosse possibile costruire un dormitorio sufficiente a contenere quel numero di ricoverati che con le rendite stesse si potessero mantenere (art. 30). Un Regolamento interno (per il servizio amministrativo ed economico) dell’Ospizio dei Vecchi sotto il titolo di San Carlo senza data diviso in sezioni e capitoli integrava il precedente. In base alle norme sancite dallo Statuto Organico, tanto gli impiegati di amministrazione, quanto gli altri addetti all’Ospizio dipendono dalla Deputazione Amministratrice (art. 2).
Il numero, la qualifica, lo stipendio erano determinati dalla pianta organica (art 3).
Il sevizio amministrativo era svolto da un Segretario contabile ed Esattore tesoriere; l’ andamento interno era affidato alla Superiora, coadiuvata da suore ed altri dipendenti nel numero necessario (art. 4).
Le modifiche al numero ed allo stipendio del personale stabilito in pianta organica poteva essere modificato solo con il consenso dell’Autorità tutoria (art. 5).
Il capitolo II fissava le funzioni del Segretario contabile. A lui erano affidate le funzioni di segreteria e di contabilità (art. 6); eseguiva e trattava tutti gli affari nell’interesse dell’Istituto; assisteva agli atti d’asta redigendo i verbali, minutava la corrispondenza d’ufficio ed esauriva tutte le altre operazioni amministrative e contabili prescritte dalle leggi vigenti (art. 7).
Oltre i registri e libri obbligatori per legge doveva conservare l’archivio e mantenere in corrente: 1-cronologico con rubricella alfabetica delle istanze per ammissione di uomini, indicando paternità e maternità, patria, data di nascita, domicilio e il provvedimento per parte della Deputazione o di altro avente diritto; 2- altro simile per istanze di ammissione donne; 3- rubricella alfabetica e per materia delle deliberazioni della deputazione (art. 8). Il capitolo III definiva le funzioni dell’ Esattore tesoriere il quale si occupava del servizio di riscossione e di cassa (art 9).
Il Tesoriere non aveva uno stipendio fisso, solo a chiusura di ogni esercizio veniva liquidato e soddisfatto con un “aggio” percentuale sulle eseguite riscossioni, in conformità del contratto esattoriale (art. 10).
La durata del contratto non poteva eccedere il quinquennio, salvo che l’appalto fosse conferito all’Esattore comunale (art. 11).
Era proibita la cessione totale o parziale dell’appalto, sotto pena di 1000 £ a beneficio dell’Ospizio e della immediata rescissione dal contratto quando reputato opportuno dalla Deputazione (art. 12).
Di regola il servizio di esattoria era affidato all’Esattore comunale (art. 17).
Il capitolo IV era dedicato alle funzioni della Superiora a cui competeva l’andamento interno dell’Ospizio sia per la sezione maschile che per quella femminile (art. 18).
La superiora, le altre suore e gli addetti interni avevano l’obbligo di alloggiare nella residenza dell’Ospizio e il diritto ad una razione di vitto (art. 19).
La superiora aveva in custodia tutte le suppellettili, il vestiario, i mobili, compresi quelli della Chiesa; li prendeva in consegna mediante regolare inventario e rispondeva in proprio della loro mancanza ingiustificata (art. 20).
Custodiva le provviste ed i generi di consumo, di cui teneva il registro con le entrate ed uscite (art. 21).
Vigilava sulla nettezza dell’edificio e sua manutenzione (art. 22).
Controllava le forniture di generi commestibili e combustibili (i buoni di ordinazione venivano spediti, staccandoli dal bollettario a matrice e doveva avere cura di controllare i generi sia per quantità che per qualità (art. 26).
Curava l’igiene personale dei ricoverati (art. 28).
Sovrintendeva alla buona armonia dei ricoverati nell’istituto (art. 29) ed alla fine di ogni anno doveva presentare un rendiconto annuale interno alla Deputazione ed un rapporto sull’andamento dell’Ospizio, suggerendo emendamenti o innovazioni che le sembravano opportuni (art. 31).
Doveva tenere elenchi e registri di cui uno cronologico per gli uomini ricoverati (in forma indicata all’art. 41); altro simile per le donne; una tabella del mobilio esistente in ciascun ambiente, unitamente alle suppellettili (affisse negli ambienti rispettivi); una tabella rispettivamente dei ricoverati e delle ricoverate con l’indicazione dell’autorità o persona che ne aveva fatto nomina (affissa nell’ingresso); fascicoli personali dei ricoverati dove annotare quanto ad essi riferisce; elenco del personale addetto all’interno, con indicazione dell’ufficio ricoperto (affissa nell’ingresso); registro quotidiano delle presenze dei ricoverati e del personale; elenco dei deputati con indicazione degli speciali incarichi a ciascuno affidati (affisso nell’ingresso). Tutto questo era stabilito all’articolo 32.
La sezione II del presente Regolamento era dedicata a “Dei vecchi ricoverati”.
Il capitolo V fissava le procedure per l’ammissione.
I vecchi che facevano istanza dovevano trovarsi nelle condizioni espresse dall’art 2 dello Statuto, produrre alla Deputazione istanza per iscritto, corredandola di certificati legati: nascita, povertà e moralità e quello di condotta incensurata da rilasciarsi dal parroco, indicazione della propria casa di abitazione. Per i posti di nomina di terzi la domanda con allegata documentazione doveva essere presentata dall’avente diritto alla nomina (art. 34).
Per i posti di nomina terzi l’ammissione poteva anche essere disposta dal Presidente. Il numero dei ricoverati era regolato in base alle disponibilità finanziarie dell’Istituto e se deficitarie si poteva anche respingere quella di nomina privata (art. 35).
Di regola non si ammettevano individui sotto i 65 anni, salvo deliberazione derogatoria della Deputazione; ogni ricovero doveva essere “nulla ostato” dal Sanitario del Luogo Pio il quale doveva escludere malattie croniche mentali o contagiose e non avere bisogno di particolare assistenza (art. 36).
Tra la morte di un ricoverato e la sua sostituzione doveva passare un mese per far fronte alle spese del funerale (art. 37).
La Deputazione poteva ammettere ricoverati a pagamento, derogando al limite di età ed anche se non nativi di Viterbo fissandone la retta annuale, ovvero contro versamento a fondo perduto di una somma in una sola volta, da valutarsi in base alla vita probabile del richiedente e della retta vigente al periodo dell’ammissione (art. 38).
I ricoverati erano iscritti all’atto di ingresso per ordine cronologico in uno speciale registro con indicazione: del numero progressivo, cognome, nome, paternità e maternità, patria, professione data di nascita, data dell’ingresso effettivo, indicazione dell’ente, autorità o persona che chiesto l’ammissione. La superiora doveva inoltre annotare tutto quanto riguardava il ricoverato apporre la data di decesso o di uscita dall’istituto indicando anche il motivo (art. 41).
Il capitolo VI era dedicato ai diritti doveri dei ricoverati.
Era loro vietato bere, praticare accattonaggio, bestemmiare, ed il turpiloquio (art. 48).
Alla morte del ricoverato tutto quello introdotto o in seguito portato nell’Ospizio (mobili, corredo, oggetti) rimaneva a beneficio dell’Ospizio; nei casi di espulsione veniva restituito salvo quanto consumato (art. 50).
Il capitolo VIII riguardava i ricoverati a pagamento. Erano sottoposti, se non diversamente stabilito alle norme e regolamenti fissati per gli altri ricoverati (art. 56).
Per essere ammessi dovevano effettuare il deposito anticipato di tre mensilità di retta o presentare persona che si rendesse garante del puntuale pagamento della retta mensile e che fosse giudicata affidabile dalla Deputazione; questo non si applicava per coloro che versano come all’art.38 (art. 57).
Potevano uscire tutti i giorni, dovevano provvedere al loro vestiario a proprie spese, nonché al corredo, non avevano l’obbligo di portare vestiario uniforme o il distintivo (art. 58).
Con il Regio Decreto del 30 giugno 1938, accertata l’affinità degli scopi perseguiti dalle due Istituzioni pubbliche di Assistenza e Beneficenza (Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi ed Ospizio dei Vecchi di San Carlo), venne disposta la riunione delle stesse, sotto la gestione di un’unica amministrazione, previo decentramento dall’Ente Comunale di Assistenza di Viterbo.
Il R. D. di Vittorio Emanuele III, “dato a San Rossore” il 30 giugno 1938, stabiliva infatti, che “vedute le finalità delle seguenti istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza: Ospizio dei Vecchi di San Carlo e Ricovero di Mendicità con sede in Viterbo amministrate dall’Ente Comunale di Assistenza di detto Comune” e “ritenuta l’opportunità di affidare la gestione di dette istituzioni ad un’amministrazione unica decentrandole dall’Ente Comunale di Assistenza”, visto l’art 8 della legge 3 giugno 1937, n. 847, su proposta del capo del Governo veniva decretato all’articolo I “le istituzioni di pubbliche di assistenza e beneficenza: I’Ospizio dei Vecchi di San Carlo – II Ricovero di Mendicità con sede in Viterbo sono decentrate dall’Ente Comunale di Assistenza” e all’articolo II che “la gestione delle istituzioni suddette è affidata ad un’amministrazione unica composta di un Presidente e due membri nominati dal Prefetto e altri due nominati dal Podestà di Viterbo. Il Presidente e i membri durano in carica quattro anni e possono essere riconfermati senza interruzione”.
Il 2 marzo 1939 veniva, quindi redatto il “Verbale di consegna dell’amministrazione e delle pratiche riguardanti le Opere Pie Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi e Ospizio dei Vecchi di San Carlo di Viterbo, data dal Podestà Presidente dell’ECA al nuovo Presidente dei detti Enti” Costantino Ferruzzi (nominato dal Prefetto di Viterbo il 6 febbraio 1939). Il Podestà Presidente di detti Enti, all’atto di cessare le sue funzioni, con il suddetto verbale, consegnava al nuovo Presidente le carte, gli atti ed i documenti esistenti e tutto quello che era di pertinenza delle Opere Pie decentrate. Con questo atto formale venne avviata una nuova fase di esistenza giuridica dell’Ospizio e del Ricovero.
Nel 1939 e precisamente con deliberazione del 30 marzo 1939 viene approvato il nuovo “Organico e regolamento del personale”, trasmesso alla Prefettura per l’approvazione il 14 agosto 1939.
Esaminato il regolamento approvato il 30 marzo, con il quale la Commissione Amministratrice dei due Enti aveva provveduto, in seguito all’unificazione in amministrazione unica delle due Opere Pie, alla compilazione di una pianta organica del personale amministrativo dipendente e del relativo regolamento che ne disciplinava lo stato giuridico, la Prefettura “ritenuto che in relazione ai fini caritativi e di assistenza, cui le entrate dei due Enti sono destinate, appare eccessiva la misura degli stipendi annui lordi, fissati, con detta deliberazione”, rinviava la suddetta deliberazione, affinché venissero riportate delle congrue riduzioni agli stipendi in oggetto (25 agosto 1939).
L’Amministrazione unica dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo e del Ricovero di Mendicità, in conformità a quanto disposto dalla Prefettura, procedeva a nuova 59 AOVSCV, Statuti e regolamenti, b. 1, fasc. 3. deliberazione (16 settembre 1939), in merito al nuovo “Regolamento organico del personale”, che inviava per l’approvazione il 25 settembre 1939.
Il “Regolamento e pianta organica del personale” deliberato dall’Amministrazione nelle adunanze del 30 marzo e successivamente 16 settembre 1939 si componeva di 19 articoli.
Per il servizio di amministrazione l’Ospizio S. Carlo ed il Ricovero avevano alle dipendenze un segretario, un applicato ed un messo (art. 1); per il posto di segretario si richiedeva il “diploma di Segretario Comunale”, per quello di applicato la licenza di scuola media inferiore, per il messo la licenza di scuola elementare (art. 2). Gli impiegati erano nominati attraverso un concorso indetto per titoli e potevano essere assunti stabilmente dopo due anni di prova (art. 4). Il segretario era capo dell’ufficio amministrativo, con l’obbligo della rigorosa e giornaliera sorveglianza dell’ufficio e di segnalare al Presidente provvedimenti d’ordine, richiesti per il buon andamento dell’amministrazione (art. 5). Compiti del segretario erano: classificare e minutare la corrispondenza d’ufficio, assistere alle adunanze del Consiglio e compilarne i processi verbali, tenere al corrente la contabilità economica, patrimoniale e finanziaria degli enti, preparare i contratti di appalto e di locazione, presentare i progetti dei bilanci annuali di previsione, completare il conto finanziario annuale presentato dal Tesoriere; era il responsabile dell’andamento e della custodia di tutti gli atti e dei documenti esistenti nell’archivio (art. 6). L’applicato coadiuvava il segretario, da cui dipendeva, in tutti i lavori di ufficio ed oltre ai lavori che gli venivano dallo stesso assegnati, doveva tenere i registri di contabilità, trarre i mandati di pagamento, coadiuvare il segretario nella compilazione dei ruoli, dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi annuali. Sostituiva il segretario in caso di assenza o impedimento precario. Il messo provvedeva alle pulizie d’ufficio e al recapito della corrispondenza (art. 8). Seguivano disposizioni relative all’orario di lavoro, agli aumenti di stipendi, ai congedi, alle pene disciplinari (in base all’ordine di gravità), alle aspettative.
La pianta organica del personale e la tabella del trattamento economico prevedeva per la qualifica di segretario uno stipendio annuo lordo di £ 2810, per quella di applicato £ 1370, per quella di messo £ 700. Il Regolamento veniva approvato dalla Giunta nella seduta del 15 ottobre 1939 con decisione n. 1588.63 Il 22 luglio 1946 la Prefettura di Viterbo, inviava al Presidente dell’Amministrazione unica dell’Ospizio e del Ricovero, nonché al Presidente dell’ECA di Viterbo una nota avente per oggetto “Concentrazione Enti di beneficenza”, con la quale “allo scopo di disciplinare, nel modo più proficuo, l’attività esercitata dagli Istituti di beneficenza di questa provincia, armonizzandola con le reali ed attuali esigenze della beneficenza stessa” ed “avvalendosi delle disposizioni degli artt. 62 e seguenti della legge 17 luglio 1890, n. 6972 e particolarmente delle norme impartite con la circolare 2 febbraio 1945 n. 25292 del Ministero dell’Interno si riterrebbe opportuno procedere al concentramento nell’ECA di Viterbo dei due Istituti Ricovero di Mendicità G. Garibaldi e Ospizio dei Vecchi di S. Carlo”.
In risposta alla nota del Prefetto di Viterbo, il Presidente dell’amministrazione unica motivava che “non possa rientrare nello spirito della legge sulle riforme amministrative e mutazioni nel fine di cui alla legge 17 luglio 1890 n. 6972, il proposto concentramento nell’ECA dei due Istituti di Ricovero Ospizio S. Carlo e Ospizio Garibaldi”. Il tenore della comunicazione procedeva “l’art. 54 della citata legge parla di concentramento nell’ECA di Istituzioni elemosiniere e di quelle che esercitano una assistenza generica; il successivo art. 55 vi contempla quelle con una rendita annua inferiore alle L. 5000, quelle esistenti nei Comuni che abbiano meno di 10.000 abitanti e quelle per cui non si possa costituire l’amministrazione”. Nessuna di queste condizioni si riscontrava nei citati Enti, i quali non erano istituzioni “elemosiniere”, ma avevano una ben precisa beneficenza da esercitare, quale quella del ricovero di inabili; avevano un patrimonio proprio di parecchi milioni tra rendite dello Stato, beni mobili ed immobili, vivevano di proprio senza contribuzioni di terzi o di altri enti, avevano un bilancio di circa un milione, erano classificate Opere Pie di I classe, esistenti in ogni capoluogo di Provincia con Statuto proprio e tavole di fondazione che ben definivano la Costituzione autonoma del Consiglio di Amministrazione. Togliere l’autonomia amministrativa sarebbe stato contrario allo spirito della legge ed alla volontà dei fondatori. I due Istituti erano stati per secoli autonomi; solo il governo fascista, con atto d’imperio ed in attesa della sistemazione delle Opere Pie, li concentrò nella Congregazione di Carità, ma successivamente con Decreto Reale del 30 giugno 1938 si fece ai due Enti giustizia riconoscendo la finalità specifica e la volontà dei fondatori, quale risultante dallo Statuto (1879), ne decretò nuovamente l’autonomia, affidando la gestione ad un Consiglio di Amministrazione, composto da un presidente e quattro membri. Il Consiglio citato non ravvisava, nel concentramento nell’ECA nessun vantaggio per i due Enti, né amministrativo, né economico. Tutto ciò trovava conferma anche in alcune disposizioni della citata legge del 1890 n. 6972, che all’art. 59 chiariva che “non sono soggetti al concentramento, ma possono essere riuniti in gruppi, come in effetti lo sono, gli istituti di beneficenza destinati a fornire ricovero a persone incapaci per condizione sociale ed età avanzata di procurarsi in tutto o in parte, i mezzi di sussistenza”.
Con delibera n. 38 del 15 maggio 1961 del Commissario Prefettizio dell’Amministrazione unica dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo e del Ricovero Giuseppe Garibaldi approvava un nuovo Regolamento e pianta organica per adeguarli alle esigenze dei servizi istituzionali degli Enti dettando essenzialmente i criteri per l’assunzione degli impiegati di ruolo (concorso per titoli ed esami), sulla disciplina dei concorsi, per la costituzione della Commissione giudicatrice (un funzionario della carriera direttiva della Prefettura quale presidente, il presidente dell’amministrazione delle Opere Pie, un segretario di ruolo di una Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza).
Con deliberazione del Commissario Prefettizio n 65 del 9 novembre 1961 veniva approvato il “Nuovo Regolamento interno dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo di Viterbo”. Nelle premesse della delibera era specificato che il regolamento dell’Ente risaliva al 1878 e si riteneva necessario compilarne uno nuovo per meglio disciplinare il funzionamento dell’Istituto. All’art. 1 veniva ribadito che l’Ospizio dei Vecchi era regolato dallo Statuto interno di cui al R D 20 giugno 1878. Il ricovero era previsto per i vecchi di ambo sessi diventati inabili al lavoro. In base alla forma di ammissione i ricoverati si distinguevano in 1- a carico di enti vari; 2- a carico di privati; 3- a carico dell’Ospizio per obblighi derivanti da lasciti ed eredità debitamente accettati (art. 2). L’ammissione era fatta previa formale ordinanza del Presidente, che doveva essere comunicata al Consiglio di Amministrazione nella prima adunanza, con preventivo accertamento delle condizioni di ammissibilità e avendo riguardo dello stato di salute, moralità, buona condotta ed età dei ricoverati (art. 3). L’ordinanza di ammissione doveva essere comunicata anche alla Superiora dell’Ospizio ed all’Ente o persona richiedente. Per ogni ricoverato veniva compilata una cartella personale dove venivano trascritte le generalità, luogo di nascita e di residenza, data di effettivo ingresso e gli obbligati al pagamento della retta. La cartella doveva essere aggiornata con le variazioni intervenute per uscita, morte, trasferimenti in ospedale (art. 4). La retta veniva fissata a £ 16.000 mensili per camerette ad un posto; £ 15000 mensili per camerette a più posti. Il pagamento doveva avvenire col versamento di una mensilità anticipata per i privati e col versamento di un trimestre anticipato per gli Enti (art 5). Nell’ammontare della retta era compreso il vitto, la lavanderia, il bucato, l’assistenza generica e quanto potesse occorrere ai ricoverati (art. 6). All’atto di ammissione ogni ricoverato doveva portare con sé la biancheria personale, il materasso, le coperte, almeno 4 lenzuola, 4 federe, 4 asciugamani ed un mobiletto o valigia e sono a suo carico o a carico dei parenti quanto possa occorrergli per vestire decentemente (art. 7). La Direzione interna dell’Ospizio ai fini del funzionamento della comunità era affidata alla Superiora delle Suore della Sacra Famiglia, coadiuvata dalle Suore (art. 8). In caso di malattia contagiosa i ricoverati venivano trasferiti nell’apposito reparto dell’Ospedale Grande degli Infermi ed in caso di pazzia in manicomio (art. 14). I medicinali occorrenti erano somministrati a carico dei ricoverati abbienti ed a carico dei Comuni di domicilio soccorso nel caso fossero iscritti nell’elenco dei poveri (art. 15).
Con le deliberazioni n. 9 del 24 gennaio 1961, n. 41 dell’11 maggio 1966 e n. 95 del 17 settembre 1966, la Deputazione dell’amministrazione unica del Ricovero di Mendicità e dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo istituiva presso la medesima amministrazione il servizio di economato (art. 1) e approvava il regolamento per il servizio di economato (formato da 12 articoli).
All’economo spettava il pagamento delle seguenti spese, previa autorizzazione del Presidente: piccole riparazioni occorrenti ai beni mobili di proprietà degli Enti, qualora non spetti ad altri (affittuari, mezzadri), acquisto degli attrezzi ed oggetti necessari alla pulizia degli uffici dell’Amministrazione, per affrancazioni postali, telegrammi o acquisto di valori bollati, acquisto di stampati e materiale di cancelleria; conservava e distribuiva materiale di cancelleria; tenuta dei libretti assicurativi delle suore e del personale inserviente; teneva, inoltre, i libretti dei coloni, l’inventario dei beni mobili all’interno degli uffici degli Enti e delle loro sedi; liquidava dei conti dei fornitori relativi al servizio di sua competenza; richiedeva forniture e provviste degli oggetti di consumo e di uso necessari, attraverso appositi buoni a matrice da lui sottoscritti; vigilava sulla conservazione dei mobili e della biancheria ed il buon uso delle provviste; teneva le scritture analitiche del movimento dei generi e dei relativi consumi distintamente per ciascuno dei due istituti (art. 3). Alla fine di ogni trimestre l’economo presentava il rendiconto delle spese sostenute per la liquidazione (art. 7). Il Regolamento veniva approvato dal Comitato di Pubblica Assistenza e Beneficenza nella seduta del 12 novembre 1966 con decisione n. 2437.
Nel 1968 e precisamente con deliberazione n. 37 del 9 maggio 1968 veniva approvato dall’Amministrazione unica dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo e del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi il nuovo Regolamento organico e pianta organica del personale dell’Ente strutturato in 10 capi e 91 articoli. In base al citato Regolamento (al capo I) venivano suddivise le diverse categorie di personale in: amministrativo, religioso, salariato (art. 1). Ai posti di ruolo si accedeva attraverso concorso pubblico e promozione (art. 3). I requisiti per essere nominati impiegati o salariati venivano specificati al capo II articolo 4. Al capo III si stabiliva il periodo di prova, la disciplina dei concorsi interni e i trasferimenti (artt. 28-39). Il capo IV riguardava il personale di assistenza, ausiliario e sussidiario. Il personale di assistenza, ausiliario e sussidiario era costituito da personale religioso e laico (art 40). Il servizio delle suore era regolato da apposita convenzione stipulata tra l’Amministrazione dell’Ente e la Superiora Generale, quale rappresentante dell’Ordine (art. 41). Al cappellano spettava l’assistenza spirituale. Potevano essere presenti uno o più cappellani nominati dal Consiglio di Amministrazione su designazione del Vescovo di Viterbo (art. 44). Il capo V riguardava il personale incaricato. Per sopperire ad esigenze straordinarie di posti vacanti, l’amministrazione poteva designare personale temporaneo (artt. 46-49). Il capo VI affrontava i doveri del personale (artt. 49-56), mentre il capo VII ne specificava i diritti (artt. 57-63). Il capo VIII era intitolato rapporti informativi (artt. 64-66), il IX provvedimenti disciplinari (artt. 67-76) ed il capo X aspettativa, dispensa, disponibilità, licenziamento, collocamento a riposo (art. 77-88). Le disposizioni finali riguardavano gli articoli 89-91, mentre le disposizioni transitorie gli articoli 1-3. La deliberazione n. 37 del 9 maggio 1968, veniva approvata con la decisione del Comitato di Pubblica Assistenza e Beneficenza n. 1346 del 30 maggio 1968.
Nel 1965 cominciarono le pratiche per la fusione dei due Enti (Ospizio dei Vecchi di San Carlo e Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi), e precisamente con la deliberazione n. 30 del 16 marzo 1965. Ravvisata l’opportunità di dare agli Enti predetti una struttura più adeguata alle accresciute esigenze dell’assistenza agli inabili ed agli anziani viterbesi, struttura che assicuri il massimo delle funzionalità e nel contempo assicuri una sicura economia di gestione, che tutto questo poteva essere ottenuto attraverso la fusione dei due Enti, considerato che ricorrono le condizioni previste all’art. 58 della legge 17 luglio 1890, n. 6972 e dell’art. 99 del regolamento amministrativo del 5 febbraio 1891 n. 99 veniva deliberata la proposta di fusione dei due Enti.
Il Comitato Amministrativo dell’Ente Comunale di Assistenza con delibera n. 55 del 13 aprile 1965 esprimeva parere favorevole alla fusione dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo e del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi di Viterbo in un unico “Istituto per l’assistenza ed il ricovero degli inabili ed anziani viterbesi”.
Con delibera n. 72 del 2 luglio 1966 veniva affidato all’avvocato Paolo De Camelis di Roma, l’incarico di consulenza in ordine all’istruttoria, alla presentazione e all’approvazione di proposta di modifica degli Statuti e di fusione degli Enti Ospizio dei Vecchi S. Carlo e Ricovero di Mendicità G. Garibaldi di Viterbo (approvata dal Comitato di Pubblica Assistenza e Beneficenza nella seduta del 19 settembre 1966 con decisione n. 1758).
Con la delibera del Commissario Prefettizio n. 41 del 25 maggio 1968, a parziale modifica della deliberazione n. 30 del 16 marzo 1965, si proponeva a norma dell’art. 62 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 la fusione dell’Ospizio dei Vecchi di San Carole del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi per dare vita all’Istituto per l’assistenza ed il riposo degli inabili ed anziani viterbesi con la denominazione di “Centro Geriatrico Giovanni XXIII”, il quale ad essi si sostituiva e ne assumeva a norma del nuovo Statuto, approvato con la presente delibera, compiti e fini istituzionali. La proposta veniva quindi sottoposta (a norma della procedura voluta dall’art 62 della legge 17 luglio 1890 n.6972), perché esprimessero nei termini, il loro parere, al Consiglio comunale di Viterbo, all’Ente comunale di Assistenza di Viterbo ed all’Amministrazione provinciale di Viterbo.75 Il Consiglio Provinciale con deliberazione n. 171 del 19 settembre 1967 esprimeva parere favorevole in merito alla fusione dei due Enti in un unico Ente con la denominazione di “Centro Geriatrico Giovanni XXIII”, assumendone i compiti ed i fini istituzionali.
La Prefettura di Viterbo con nota n. 47270 del 16 aprile 1969 invitava l’Amministrazione ad apportare modifiche allo Statuto approvato con la deliberazione del 25 maggio 1968 n. 41. Quindi venivano deliberate parziali modifiche agli articoli 1, 8 e 26, con delibera del Commissario Prefettizio del 17 aprile 1969.
Il nuovo Centro Geriatrico Giovanni XXIII, nasce effettivamente con il D. P. R. del primo ottobre 1969.
I progetti per la costruzione del primo lotto del Centro Geriatrico “Giovanni XXIII”, comprendente due elementi edilizi fondamentali: quello di lunga degenza, con annesso ambulatorio geriatrico (per una ricettività di n. 132 posti letto) e quello destinato a casa di riposo per l’anziano (per una ricettività di 239 posti letto), cominciano ed essere stilati a partire dal 1965. Esso si limitava al piano seminterrato, piano rialzato e primo piano (Relazione tecnica dell’ingegnere Aldo Cesarei, 10 novembre 1965) e continuarono sino al 1969.
2. L’Archivio dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo di Viterbo 1832-1969.
L’archivio dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, è conservato unitamente a quello del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi ed insieme alla documentazione di deposito dell’attuale “Giovanni XXIII”, in un vano seminterrato dell’edificio che ospita il Centro Geriatrico, odierno erede dei due Enti.
L’ambiente, di circa 25 metri quadri, appare idoneo, asciutto ed aerato.
In fase di riordino ed inventariazione, si è provveduto ad esaminare le carte ancora impacchettate, a ricondizionare il materiale ritrovato sciolto ed a separare materialmente i documenti prodotti dall’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, da quelli appartenenti al Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi.
La quantità di buste e registri, dopo tale operazione è aumentata, rispetto al censimento effettuato dalla Soprintendenza. Nel dettaglio la consistenza attuale del fondo è di 163 unità; 316 sottounità con estremi cronologici 1832-1969. Questo fondo, interessante tanto dal punto di vista storico che archivistico, è pervenuto all’attuale “Giovanni XXIII” il 2 marzo 1939, quando in attuazione del R.D. del 30 giugno 1938, l’ECA provvide alla consegna di ogni atto afferente le due Istituzioni al Presidente designato.
Parte della documentazione è stata ricondotta ad una originaria suddivisione in Sezioni e Categorie. Sulla camicia di alcuni fascicoli, infatti si trovano menzionati l’arco cronologico dei documenti (in alto a sinistra), la Sezione, la Categoria e l’elenco dei sottofascicoli in esso contenuti. In fase di inventariazione, con il programma “Sesamo”, sono state create due strutture separate: una contenente l’inventario dei fascicoli suddivisi in Sezioni e Categorie corrispondente al periodo 1881-1930, l’altra con l’inventario delle unità archivistiche, suddivise in Serie e Sottoserie, riguardante tutta la documentazione non riconducibile alla prima suddivisione.
Le Sezioni erano indicate con numeri romani, mentre le categorie, che corrispondono ad un fascicolo, ed i sottofascicoli con numeri arabi progressivi.
La suddivisione per anni 1881-1885; 1896-1900; 1901-1905; 1916-1920; 1926-1930 è stata evidenziata perché specificata sulla camicia dei fascicoli (in alto a sinistra). Le 4 Sezioni ben individuabili (I Amministrazione, II Contabilità, III Patrimonio, IV Beneficenza) non sono mai presenti tutte e quattro all’interno degli archi cronologici suddetti.
1881-1885 sono state ritrovate le Sezioni I e IV (Amministrazione e Beneficenza);
1896-1900 è presente solo la Sezione III (Patrimonio);
1901-1905 si sono ritrovati solo i fascicoli appartenenti alla Sezione III (Patrimonio);
1916-1920 c’è solo la Sezione IV (Beneficenza);
1926-1930 sono presenti le Sezioni I, II, IV (Amministrazione, Contabilità e Beneficenza).
Le categorie, come evidenziato nello schema, anche se appartenenti alla stessa Sezione variano negli anni (sia nella dizione, che nella numerazione).
Si nota, inoltre, che aprivano e chiudevano le pratiche con cadenza quadriennale, molto probabilmente in relazione alla scadenza del mandato della Deputazione Amministrativa dell’Ente. Pur ritrovando le carte in buono stato di conservazione, l’archivio è nel suo complesso molto lacunoso. Questo si può ben comprendere anche avendo presente la data di nascita dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, che è il 1639 mentre la documentazione più antica ritrovata risale al 1832.
C’è inoltre una testimonianza molto importante, un elenco dei documenti presenti nell’archivio dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, datato 2 dicembre 192880, che dà un quadro ben preciso dello stato dei documenti a quella data. A completamento della consegna di diritto fatta con verbale del 1 ottobre 1927 alla Congregazione di Carità di Viterbo, dell’amministrazione dell’Ospizio, “intestato, oggi due dicembre 1928” dal cessato segretario Egidi Ferdinando, veniva eseguita al segretario della medesima Congregazione Igino Mattioli la consegna di fatto delle carte e documenti di ufficio e precisamente “delle posizioni correnti dell’archivio 1926-1930: dei Registri delle deliberazioni; dell’Inventario Patrimoniale; dell’Archivio dei Documenti e rogiti”, dei timbri del Luogo Pio; il tutto come da separato elenco che si allegava al verbale.
Per tutti i documenti di epoca anteriore al 1926 era stato disposto il trasporto in un locale della Residenza dell’Ospizio per l’opportuna conservazione; questi documenti consistevano in “Numero 34 Buste, numerate dall’uno al quattro in cifre romane per il periodo dal 1700 al 1885, e successivamente dall’uno al trenta in cifre arabiche per il periodo dal 1886 al 1925: i Conti Consuntivi e relativi documenti dal 1821 al 1925”, cinque registri “diversi di Polizze, Sindacati, Cabreo ed in un gruppo di carte diverse riferibili al sec. XVI e riguardanti un tale Bernardo: anzi di tutti i suddetti carte e documenti si è fatto oggi il trasporto nella residenza dell’Ospizio”.
Le posizioni correnti dell’archivio 1926-1930, che si consegnavano dal cessato segretario Ferdinando Egidi alla Congregazione di Carità di Viterbo venivano elencate specificando la Sezione (Amministrazione, Contabilità, Patrimonio e Beneficenza), la Categoria ed il fascicolo (suddivisione ritrovata nei fascicoli dal 1881 al 1930).
Venivano inoltre consegnati i registri delle Deliberazioni dal 1770 al 1927 (tenevano due registri, uno bollato, per le deliberazioni soggette ad approvazione ed uno “semplice” per le deliberazioni “ordinarie”); rubricella alfabetica per nomi e per materie delle deliberazioni dal 13 gennaio 1916 al 30 settembre 1927; elenco delle deliberazioni sottoposte ad approvazione dell’autorità tutoria dal 18 maggio 1900 al 10 settembre 1927, con indicazione dei relativi provvedimenti ed un registro di 1083 pagine contenente l’inventario patrimoniale dell’Ospizio “impiantato a chiusura dell’esercizio 1891 ed aggiornato a chiusura dell’esercizio 1927.
Di seguito venivano elencati una serie di registri e documenti quali: registro dal titolo “Origine della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine”; registro “Istrumenti antichissimi che cominciano dall’anno 1559”; libro degli “Istrumenti” degli Oblati di Maria Vergine in San Carlo, tomo I; libro degli “Istrumenti” degli Oblati di Maria Vergine in San Carlo, tomo II; cartella “Estratto di istromenti e notizie con annessa seconda copia, nonché indice degli istromenti contenuti nei due Tomi precedenti”; 557 posizioni progressivamente numerate contenenti copie od estratti autentici o semplici, di altrettanti rogiti, verbali e documenti; elenco indice delle suddette posizioni e relativo estratto, preceduto da rubricella alfabetica di ricerca per nomi e materie.
La gran parte dei documenti elencati nel verbale suddetto sono oggi andati perduti o comunque non sono stati ritrovati.
L’archivio dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, unitamente a quello del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi, hanno subito nel corso dei secoli delle vicende controverse: trasferimenti (all’ECA nel 1937; dall’ECA all’Amministrazione unica nel 1938) e dispersioni dovute ad eventi bellici. In particolare con una lettera del 12 marzo 1959 il Presidente dell’Amministrazione Ospizio dei Vecchi di San Carlo e Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi, denunciava la distruzione di parte dell’archivio, ormai unico dei due Enti, durante la seconda guerra mondiale, perché ubicato in Piazza della Rocca 6 bombardata.
Il fondo archivistico del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi di Viterbo (1897-1969)
Introduzione storico – istituzionale a cura di Cinzia Pasqualetti
INTRODUZIONE
1. Notizie storico-istituzionali dalle origini sino al 1969.
L’apertura del Ricovero di Mendicità era una delle principali preoccupazioni dell’Amministrazione comunale di Viterbo, che coadiuvata dalla Congregazione di Carità ed in modo particolare dal suo Presidente l’avvocato Fabio Ludovisi e dal Vicario Generale della Diocesi Don Francesco Ragonesi, sostenuti dall’autorità politica, rappresentata dal Sottoprefetto l’avvocato Candido Pietrogrande, grazie all’opera di tutte queste figure si poté inaugurare il Ricovero di Mendicità nella città di Viterbo. Fin dal 1871 venne proposta e discussa in consiglio comunale l’erezione di un Ricovero di Mendicità per i poveri inabili al lavoro nella città di Viterbo e quindi fu nominata una commissione (i cui componenti vennero scelti tra le varie classi di cittadini) con il compito di raccogliere adesioni e ricevere sottoscrizioni e sussidi. Le adesioni firmate dai cittadini che si obbligarono ad un sussidio mensile furono molte, ma il più grande impedimento fu rappresentato, in quel frangente, dalla mancanza di un locale idoneo all’erezione del Ricovero.
Nel 1873 fu inoltrata richiesta all’amministrazione del Fondo per il culto per la cessione dell’ex Convento del Paradiso, da destinare a sede del Ricovero, ma la citata amministrazione rifiutò.
Nel 1881 il Regio Commissario Enrico Pani Rossi offrendo una somma di mille lire (offerta che non avvenne mai effettivamente) riaccese le speranze e l’interesse per la costituzione del ricovero. Anche il comune stanziò, sui bilanci 1881-1882, la somma di seimila lire a tale scopo. Fu così costituito il primo fondo (per poter sopperire alle spese di impianto) che venne in parte investito in cartelle del debito pubblico ed in parte depositato con libretti, presso la Cassa di Risparmio di Viterbo.
Nel 1891 la “Rappresentanza comunale” ripresentò la richiesta al Regio Governo per la cessione dell’ex Convento del Paradiso che dopo lunghe trattative venne concesso.
Nel frattempo la Congregazione di Carità, in linea con le disposizioni della nuova legge sulle Istituzioni di Pubbliche di Beneficenza 17 luglio 1890, deliberava la trasformazione delle Confraternite e degli Enti consimili, proponendo di devolvere a beneficio del Ricovero il loro patrimonio (contando in questo modo di aggiungere alla dotazione dell’Istituto circa 5000 lire annue), ma tutto questo non proseguì.
Si avviarono allora pratiche favorite dal Regio Sottoprefetto e dall’autorità religiosa, che portarono alla perpetua attribuzione da parte delle principali confraternite ed enti affini, di un contributo annuo di lire 3320. Si cominciò da questo momento in poi a studiare gli ordinamenti dei vari Ricoveri di Mendicità già esistenti in Italia, che “senza aggravio delle rispettive città, e sostenuti soltanto dalla carità pubblica, provvedano largamente al sollievo e sostentamento di centinaja e centinaja di miseri”.
Tra le varie istituzioni quella considerata più adatta fu la “Associazione del Boccone del Povero” di Palermo, con cui venne stipulata una convenzione. Il 30 maggio 1897 il Ricovero di Mendicità fu inaugurato affidandone il governo alle suore dell’Associazione del Boccone del Povero e l’amministrazione alla Congregazione di Carità. Il riconoscimento giuridico venne, però ottenuto, con
Decreto Reale di Umberto I il 31 dicembre 1899 (erezione in ente morale).
Con questo decreto, viste le deliberazioni della Congregazioni di Carità e del Consiglio comunale di Viterbo, proponenti la costituzione in ente morale di un Ricovero di Mendicità, viste le decisioni della Giunta Provinciale Amministrativa di Roma; visti i decreti del Ministro Guardasigilli (Pelloux) 6 aprile 1898 e 16 giugno 1898, che approvavano il concorso delle Confraternite locali al costituendo Ricovero di Mendicità, era costituito in ente morale ed era affidato in amministrazione alla Congregazione di Carità di Viterbo (Roma, 31 dicembre 1899).
Il numero dei ricoverati, di cui trenta gravavano sul bilancio dell’Istituto, pochi erano a carico della carità privata, altri mantenuti dalla questua che veniva fatta dalle suore, da quello di 25 alla fondazione era cresciuto fino ad un numero massimo di 82. Il 23 settembre 1904 veniva redatto dalla Congregazione il Regolamento interno disciplinare.
Il 15 maggio 1897 veniva approvato lo Statuto Organico del Ricovero.
Quest’ultimo recitava all’art. 1 che era istituito in Viterbo un Ricovero di Mendicità. Scopo del Ricovero di Mendicità era accogliere ed assistere i mendicanti di ambo sessi invalidi o inabili ad un lavoro capace di procurare loro sostentamento. I ricoverati venivano provvisti di alloggio, vitto e vestiario, assistenza religiosa e sanitaria e nei limiti delle possibilità dell’Istituto potevano essere impiegati in qualche lavoro utile.
Per i bisogni del Ricovero si provvedeva con un sussidio annuo perpetuo di lire 3000 da parte del Comune di Viterbo e con i contributi delle locali confraternite ed altri istituti simili (visto l’obbligo assunto con le proprie deliberazioni e tenendo presente l’art.81 della legge di Pubblica Sicurezza). Vi concorrevano, inoltre, i redditi del capitale esistente (prelevate le spese di impianto), le rendite dei lasciti, eredità e donazioni; le elargizioni ed oblazioni dei benefattori, gli assegni o sussidi di privati e “Corpi Morali”, il prodotto di eventuali lavori interni (art. 2).
All’art. 3 si stabiliva che il Ricovero era amministrato dalla Congregazione di Carità di Viterbo (in virtù della vigente legge sulle Opere Pie e del suo Statuto).
Il personale amministrativo e contabile apparteneva alla Congregazione di Carità con le attribuzioni designate dallo Statuto e dal Regolamento (art. 4).
Il personale interno veniva stabilito con apposita pianta nel Regolamento interno disciplinare (art 5).
L’ammissione al Ricovero, salvo quanto disposto dall’art. 78 della legge 17 luglio 1890, aveva luogo in seguito a domanda. Nei limiti dei posti disponibili, poteva avere luogo anche in forma coattiva, a norma delle leggi di Pubblica Sicurezza. Il ricoverando doveva trovarsi nelle seguenti condizioni: essere nato a Viterbo, o avere acquistato legalmente a Viterbo il domicilio di soccorso; trovarsi in stato di assoluta indigenza ed impotenza ad un lavoro da cui trarre sostentamento ed essere senza parenti legalmente tenuti a provvedere al suo mantenimento; essere esente da malattie contagiose, mentali o epilessia; essere affatto sprovveduto di titolo all’assistenza di altri Istituti di beneficenza (art. 6).
Gli individui portati al Ricovero per fatti di questua illecita, finché non sia provato riuniscano le condizioni prima descritte non potevano essere accettati (art. 7).
Potevano essere ricoverati gli indigenti inabili, anche se non mendicanti, sempre che vi fossero posti disponibili e possedessero i requisiti di cui all’articolo 6 (art. 8).
I ricoverati potevano essere espulsi: qualora venissero a mancare le condizioni che ne determinarono l’ammissione; per “mala condotta” o quando la loro presenza si rendeva incompatibile con il buon andamento dell’Istituto (art. 9).
Competeva alla Congregazione di Carità la nomina o il licenziamento dei ricoverati (art. 10). Per quanto non previsto nel presente Statuto, doveva essere tenuto in considerazione quanto disposto dalla legge 17 luglio 1890 e relativi regolamenti (art. 12).
Il Regolamento interno disciplinare datato 23 settembre 1904 stabiliva che il Ricovero di Mendicità era regolato dallo Statuto organico del 15 maggio 1897, dalla convenzione con le suore del Boccone del Povero del 30 gennaio 1897 e dal seguente regolamento (art. 1). In relazione alla modalità di ammissione i ricoverati si suddividevano in 3 categorie: la prima a carico dell’Istituto con ricoverati di nomina esclusiva della Congregazione di Carità, amministratrice del Ricovero. Il loro numero era proporzionato al disponibile annuo, ma mai inferiore a trenta (art. 3); la seconda a carico della carità pubblica di nomina esclusiva del Sindaco di Viterbo. Il numero dei ricoverati ad essa appartenenti era proporzionato ai proventi delle questue cittadine ed alla disponibilità dei posti81(art. 4); la terza a carico di terzi comprendeva i ricoverati a pagamento di retta, per conto di enti morali o di privati. Il loro numero era determinato sulla base della disponibilità dei posti dopo aver coperto quelli spettanti alle precedenti categorie (art. 5).
Le ordinanze di ammissione di ricoverato dovevano essere emanate dal Presidente della Congregazione, indipendentemente dalla categoria (art.6).
L’ammissione dei ricoverati della prima categoria era deliberata dalla Congregazione di Carità, la quale poteva farne annualmente delega al proprio Presidente (art. 7).
L’ammissione dei ricoverati della seconda categoria era devoluta al Sindaco, il quale ne dava comunicazione al Presidente della Congregazione per l’emissione dell’ordinanza di ricovero (art. 8). La Congregazione doveva procedere all’accertamento dell’esistenza delle condizioni richieste per l’ammissione. L’ammissione dei ricoverati della terza categoria poteva essere facoltativa o coattiva: facoltativa se presentata da enti morali o da privati, con offerta di retta quotidiana o versamento di un’oblazione all’atto di ingresso; coattiva se ordinata d’ufficio dalle competenti autorità in base alle norme stabilite dalla legge sulla pubblica sicurezza (art. 9).
L’ordinanza di ammissione, firmata dal Presidente doveva essere comunicata alla direzione del Ricovero e che ne dava notizia al ricoverando. La segreteria della Congregazione spediva inoltre alla direzione un doppio foglio personale caratteristico, con le generalità della persona ammessa; uno degli esemplari doveva essere restituito dalla direzione alla segreteria, con l’aggiunta della data dell’effettivo ingresso nell’Istituto (art 10).
La Direzione aveva l’obbligo di provvedere all’assistenza dei ricoverati, preoccupandosi che i meno validi fossero accompagnati dai più abili (per soccorrere loro, per alzarsi dal letto, per coricarsi, per mangiare, per passeggiare). La Direzione doveva curare anche l’igiene nei locali e dei ricoverati (art. 23).
In caso di morte di un ricoverato, la Direzione provvedeva alla custodia del cadavere ed agli uffici religiosi. Dava notizia allo Stato civile per l’opportuna rimozione del cadavere; informava il Presidente, indicando a quale categoria il ricoverato apparteneva e restituendo alla segreteria la corrispondente posizione e foglio caratteristico con l’indicazione del giorno della morte (art. 26). In caso di malati di epilessia, di pazzia e di malattie contagiose la Direzione era in obbligo di avvertire la Presidenza per il dovuto allontanamento (art 27).
I medicinali occorrenti erano somministrati gratuitamente dall’Ospedale, se rientravano nell’elenco di quelli che lo stesso era obbligato a fornire ai poveri (art. 28).
Il personale direttivo e di servizio si componeva di otto suore, di cui una con il titolo di superiora era riconosciuta come rappresentante la Direzione (art. 30).
Era riservato al Sindaco, al Presidente ed a qualsiasi membro della Congregazione di Carità l’accesso nei locali dell’Istituto per verificare il trattamento dei ricoverati (sufficienza del vitto, igiene, assistenza, disciplina).
La Direzione era tenuta per ciascuno dei ricoverati alla confessione e alla comunione una volta al mese. Per la comunità, oltre che nella messa festiva a carico del Comune in quella quotidiana a carico della Curia Vescovile, nella recita in cappella del rosario pomeridiano, nelle funzioni annue per le festività dei patroni della città, negli anniversari funebri disposti dai benefattori (art. 40).
I Ricoverati ogni volta che uscivano isolati od in comune dall’istituto dovevano indossare l’uniforme o l’“abito di prammatica”; nel caso in cui uscivano isolatamente per qualche servizio del Ricovero, era sufficiente il berretto per gli uomini e lo scialle per le donne (art. 52).
Dal 1937 la vita amministrativa dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo e del Ricovero di Mendicità è comune, quindi si ritiene inutile ripetere quanto già scritto nell’introduzione storico – istituzionale dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo.
Nel 1949 veniva stipulata una nuova convenzione tra il Comune di Viterbo ed il Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi, approvata con delibera n. 97 dal Il ricovero degli indigenti all’Ospizio di Mendicità Giuseppe Garibaldi aveva luogo in base ad una convenzione stipulata con l’Istituto in seguito alla delibera Podestarile n. 446 del 29 dicembre 1932, approvata dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 9 giugno 1933 n. 906\11133, salvo modifiche, relative alla retta, per effetto delle mutate condizioni economiche. Con il Regio Decreto 31/12/1899, su deliberazioni congiunte del Comune di Viterbo e della locale Congregazione di Carità, venne eretto in Ente Morale il locale Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi, avente per scopo il ricovero, l’assistenza ed il mantenimento dei vecchi mendicanti di ambo i sessi, invalidi ed inabili al lavoro, nati a Viterbo ed aventi a Viterbo il domicilio soccorso. L’originale fondo dell’Ente fu costituito con elargizioni del Comune e con l’assunzione della spesa di adattamento di alcuni locali del Convento del Paradiso e fu successivamente integrato con lasciti di privati. Il Comune di Viterbo assunse a proprio carico l’obbligo di corrispondere l’annuo perpetuo canone di £ 3000. Nel 1904 venne approvato il Regolamento interno dell’Ente dal quale si apprendeva che i ricoverati erano suddivisi in 3 categorie (vale quanto scritto sopra). Il Ricovero aveva assolto alle sue funzioni senza contestazioni sino alla fine della “prima guerra europea” quando l’Ente, di fronte al forte aumento dei prezzi, protestò di non riuscire a far fronte alla situazione con le proprie rendite e con i proventi delle questue delle suore ed ottenne dal Comune di Viterbo che l’annuo originario canone di £ 3000 venisse elevato dapprima a £ 8400 e “poscia” a £ 9000. Ma nell’anno 1930 l’Ospizio di Mendicità accoglieva solo 7 ricoverati di nomina comunale e l’Ente rifiutò di accogliere altre persone affermando che le condizioni economiche non glielo permettevano dato che la retta annua di ogni ricoverato veniva a costare intorno a £ 1080. Il Podestà cercò di risolvere la questione e con deliberazione del 29 dicembre 1932, che trovava corrispondenza e confermava la deliberazione del 3 dicembre 1932 della Congregazione di Carità, allora amministratrice del Ricovero, decidendo di mantenere il contributo annuo di £ 9000 in corrispettivo del quale l’Ospizio assumeva l’onere di ricevere e mantenere n. 8 inabili “mendichi” di Viterbo di nomina comunale; di assumere a proprio carico il mantenimento nell’Ospizio di n. 30 ricoverati di ambo i sessi corrispondendo annualmente la somma di £ 32400 pagabili a rate posticipate, ancorché il numero dei ricoverati di nomina comunale non raggiungesse i 30.
Con questa convenzione, mentre si precisavano gli oneri del Comune nei confronti dell’Ente, nulla veniva stabilito circa gli oneri che l’Ente assumeva verso la cittadinanza, quindi nel 1942 il Podestà propose una nuova convenzione attraverso la quale si fissava in 120 il numero dei ricoverati che l’Ente era tenuto ad ospitare e le spese relative quanto ad 80 dovevano rimanere a carico dell’Ente e quanto a 40 a carico del Comune. Questa convenzione non ebbe effetto a causa degli eventi bellici e successivamente su pressione del Ricovero il Comune di Viterbo con varie successive deliberazioni aumentò la somma di £ 32400 di cui alla convenzione del 1932 in varia guisa sino a portarla ad una “diaria” di £ 120 per ogni ricoverato ed ogni giorno di presenza. Il Ricovero di Mendicità prospettò al Comune di Viterbo la necessità di elevare ulteriormente l’ammontare della “diaria” suddetta ed il Comune si dichiarò disposto ad accettare la proposta purché si precisassero gli oneri reciproci in relazione agli scopi assistenziali dell’Ente. Si stabilì allora che il Ricovero di Mendicità assumeva l’obbligo di ricoverare 20 poveri mendichi inabili di Viterbo che posseggano i requisiti previsti all’art 6 dello Statuto dell’Ente e provvedere ai loro bisogni con le rendite del Pio Istituto e con i proventi della “cerca” delle Suore. Del numero di cui sopra otto mendichi venivano ricoverati su designazione del Comune di Viterbo e senza che il Comune dovesse corrispondere compensi, mentre i rimanenti erano ricoverati con nomina della Deputazione Amministrativa dell’Ente (art. 2).
Il Comune di Viterbo aveva diritto di vigilare che il numero dei posti fosse regolarmente e costantemente coperto ed in caso di vacanza per una delle ipotesi del regolamento (morte, ritiro da parte dei familiari, dimissioni per indisciplina) aveva diritto qualora il posto non fosse ricoperto a cura dell’Ente entro 15 giorni dall’avvenuta vacanza di nominare la persona che doveva occuparlo senza dover corrispondere compensi (art 3). Il Ricovero assumeva anche l’obbligo di ricoverare vecchi inabili che abbiano i requisiti di cui all’art. 6 dello Statuto sino ad un massimo di 45 (di cui 28 uomini e 17 donne) designati dal Comune di Viterbo (art. 4). Il Comune assumeva l’obbligo di corrispondere per ognuno dei ricoverati di cui all’art. 4 una “diaria” di £ 175 per ogni giorno di presenza. Il pagamento delle “diarie” avveniva mensilmente su nota nominativa delle persone ricoverate per disposizione del Comune (art. 5). Il Comune assumeva l’impegno di mantenere costantemente ricoverati di propria designazione nel numero di non meno di 25 indigenti e qualora il numero di questi fosse inferiore si obbligava a corrispondere ugualmente la “diaria” di £ 175 per ricoverato e per il numero di 25 persone (art. 6). L’Istituto doveva immediatamente comunicare alla Segreteria del Comune l’avvenuta morte o dimissione dei singoli ricoverati in modo che l’Autorità Municipale potesse provvedere immediatamente all’ammissione di altri inabili. In mancanza di questa comunicazione il Comune aveva il diritto di defalcare l’importo delle “diarie” dovute dal giorno del decesso o dimissione a quello del rimpiazzo (art. 7). Il Comune si riservava il diritto di “ripetere” dai famigliari del ricoverato, che vi fossero tenuti per disposizioni di legge, tutta o parte della “diaria” di degenza senza che il Ricovero Garibaldi potesse pretendere, per questo titolo, alcun compenso (art. 8). Le parti riconoscevano che il numero dei 20 ricoverati a cura e spese dell’Istituto e di cui agli artt. 2 e 3 della convenzione era stato determinato tenendo presente il costo del mantenimento nell’anno 1949.
Ogni qualvolta si verificava una variazione in più o in meno nell’indice medio annuale del costo della vita, il numero dei ricoverati a cura e spese dell’Istituto veniva modificato per adeguarlo alle capacità finanziarie dell’Istituto (art. 9).
Anche la “diaria” di £ 175 per ricoverato era stata concordata tenendo presente i numeri indici del costo della vita al 1949; ogni anno, si procedeva ai raffronti degli indici del costo della vita dell’anno che terminava con l’indice medio del costo della vita dell’anno 1949 (in base al rilievo dell’Ufficio Centrale di Statistica) e la “diaria” dell’anno che terminava veniva adeguata al variare del numero degli indici raffrontati (art. 10). Il Comune di Viterbo, per assicurare al Pio Luogo gli ambienti necessari, con la convenzione del 1949 locava ed affittava al Ricovero di Mendicità Garibaldi, che accettava, l’intero edificio di proprietà del Comune ex Convento di San Bernardino “con lo scoperto annesso nello stato di consistenza dell’immobile stesso, che verrà fatto risultare da apposito verbale di consistenza da registrarsi dall’Ufficio Tecnico Comunale” (art. 11). Il corrispettivo della locazione era fissato nell’annua somma di £ 1000 da corrispondere annualmente in un’unica rata anticipata annuale (art. 12).
Il Ricovero assumeva a proprio carico le spese di piccola manutenzione per tutta la durata della convenzione (art. 13). A seguito degli accordi previsti dalla presente convenzione e per tutta la durata della stessa, il Comune di Viterbo era sollevato dall’onere di corrispondere l’annuo perpetuo canone di £ 3000 originarie, elevato a £ 9000 nel 1924, poiché il canone citato veniva assorbito dalla “diaria” di presenza. (art. 14). La convenzione veniva stipulata con durata triennale a partire dal primo gennaio 1949 per terminare il 31 dicembre 1951 ritenendola rinnovata per altri tre anni, in caso di mancata disdetta di una delle parti almeno sei mesi prima della scadenza (art. 15). La Convenzione era composta di 16 articoli e veniva approvata dalla Giunta Provinciale Amministrativa con decisione n. 3116 del 16 novembre 1949.
Il 30 giugno 1951 una nota del Presidente del Ricovero di Mendicità, richiamando l’art 9 della suddetta Convenzione, chiedeva per gli anni 1950 e 1951, l’aumento della retta di ricovero nella misura dell’aumento del costo della vita e con l’occasione dava disdetta alla convenzione che scadeva con il 31 dicembre 1951. In risposta (28 novembre 1951) il Sindaco di Viterbo comunicava la decisione del Consiglio comunale, che la retta di ricovero venisse elevata, con decorrenza primo gennaio 1952 a £ 280 giornaliere, per ogni inabile. Il Consiglio comunale deliberava che procedendo alla nuova stipulazione della convenzione per il 1952, l’art 2 della convenzione del 1949 andava interpretato nella sua reale dizione cioè: che gli otto posti gratuiti concessi al Comune, dovevano essere scelti tra i venti ricoverati a carico dell’Amministrazione; mentre in seguito e di volta in volta che si rendeva vacante qualcuno degli otto posti, il Comune aveva il diritto di procedere alla sostituzione con altrettanti elementi di sua nomina, che erano sempre a carico dell’Istituto. Di conseguenza il Comune, a partire dal primo gennaio 1952, doveva passare gli otto nominativi gratuiti tra quelli che risultavano a suo carico e contemporaneamente scegliere gli otto posti gratuiti tra i 20 nominativi a carico dell’Amministrazione del Ricovero. Per quanto altro contenuto nella vecchia convenzione, il Consiglio comunale confermava l’approvazione.
Una successiva nota del Presidente (del 19 giugno 1954) inviata al Sindaco di Viterbo, chiedeva l’aumento della retta individuale giornaliera, ritenuta da tempo insufficiente al mantenimento dei ricoverati, per mettere l’amministrazione nella condizione di mantenere in maniera decorosa gli assistiti evitando lamentele da parte degli stessi e le osservazioni delle Autorità tutorie e della pubblica opinione.
Un estratto di deliberazione del Consiglio dell’Opera Pia Giuseppe Garibaldi del 7 gennaio 1963 avente per oggetto “aumento delle rette di ricovero per gli inabili a carico del Comune di Viterbo” evidenziava ancora una volta l’esigenza di un aumento delle medesime; il Comune corrispondeva al Ricovero di Mendicità sin dal primo gennaio 1955 £ 325 giornaliere per ogni ricoverato di nomina comunale, mentre per i sette ricoverati, sempre di nomina comunale, corrispondeva per convenzione, £ 100 giornaliere. La retta di £ 325, il cui importo era rimasto invariato sin dal 1955, risultava, visto l’aumento del costo della vita, insufficiente. Il Consiglio deliberava quindi all’unanimità di aumentare con decorrenza primo gennaio 1963 le rette di ricovero per gli inabili a carico del Comune di Viterbo da £ 325 giornaliere a £ 500 giornaliere, elevando anche la retta dei sette posti di ricovero per i quali il Comune per convenzione pagava £ 100 giornaliere a £ 200. Questi aumenti avevano effetto tanto per i nuovi ricoverati a decorrere dal primo gennaio 1963 quanto per i 58 ricoverati già a carico del Comune per i quali la retta con medesima decorrenza, doveva essere uniformata nella misura di £ 500 giornaliere.
2. L’Archivio del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi di Viterbo 1897-1969.
L’archivio del Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi, è conservato unitamente a quello dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo ed insieme alla documentazione di deposito dell’attuale “Giovanni XXIII”, in un vano seminterrato dell’edificio che ospita il Centro Geriatrico, odierno erede dei due Enti. In fase di riordino ed inventariazione, si è provveduto ad esaminare le carte ancora impacchettate, a ricondizionare il materiale ritrovato sciolto ed a separare materialmente i documenti prodotti dall’Ospizio dei Vecchi di San Carlo, da quelli appartenenti al Ricovero di Mendicità Giuseppe Garibaldi.
La quantità di buste e registri, dopo tale operazione è aumentata, rispetto al censimento effettuato dalla Soprintendenza. Nel dettaglio la consistenza del fondo è di 90 unità; 212 sottounità con estremi cronologici 1897-1969. Questo fondo è pervenuto all’attuale “Giovanni XXIII” il 2 marzo 1939, quando in attuazione del R.D. del 30 giugno 1938, l’ECA provvide alla consegna di ogni atto afferente le due Istituzioni al Presidente designato. L’archivio del Ricovero di Mendicità ha subito nel corso dei secoli delle vicende controverse: trasferimenti (all’ECA nel 1937; dall’ECA all’Amministrazione Unica nel 1938), dispersioni dovute ad eventi bellici come già decritto nella nota archivistica dell’archivio dell’Ospizio dei Vecchi di S. Carlo.
Il materiale documentario ancora presente nel deposito non aveva una propria organizzazione e quindi il lavoro iniziale si è basato sullo studio delle competenze dell’Ente. Sulla base ad esse sono state individuate le seguenti serie: Statuti e regolamenti, Carteggio, Contabilità, Patrimonio, Eredità e lasciti, Assistenza e mantenimento ed infine Miscellanea.
Si segnala che nell’inventario dell’Ospizio dei Vecchi di San Carlo sono presenti alcune serie contenenti documentazione sia del suddetto Istituto sia del Ricovero di Mendicità ossia le serie dei Verbali delle delibere (1939-), degli Atti deliberativi (1965-1969) e dei Protocolli della corrispondenza (1943-1969), perché cronologicamente successivi alla costituzione dell’amministrazione unica dei due Enti. Di conseguenza in questo inventario non è stato ritenuto opportuno riportare nuovamente le serie sopra elencate.
Di seguito viene fornito uno schema riassuntivo dell’inventario dell’archivio riordinato nel quale vengono indicate le serie e sottoserie archivistiche, il numero progressivo attribuito ai pezzi che le compongono, la loro consistenza e gli estremi cronologici.